sabato 14 febbraio 2015

"IL MIO MONDO"







Oggi come non mai avevo voglia di farvi confessioni, l'ho fatto nel pezzo che segue, spero "il mio mondo" vi interessi, ora mai siete oltre che amici confidenti. Questa occasione è propizia anche perchè oggi è S. Valentino, spero che ognuno di Voi lo viva con passione e gioia con l'altra metà del mondo che amate. Auguro un buon S. Valentino a chi l'altra metà della mela la sta cercando, che il destino vi faccia incontrare chi possa con Voi realizzare ogni vostro desiderio. Ora vi lascio al mio lungo "pezzo" di oggi ..... 

Come molte volte accade a ognuno di noi, un giorno mi sono chiesto: -sono contento?- Una domanda secca, con altrettanto risposta franca e secca: -no!- In quel no erano racchiuse l’ansia, le frustrazioni, l’autocensura, il non sentirsi centrato rispetto la vita che facevo, i molti dubbi e le molte domande sull’etica, sui confini valicabili o invalicabili per perseguire un proprio obiettivo la cui soddisfazione, quando raggiunto, era solo per me stesso, durava un minuto perché all’orizzonte ve n’era uno nuovo da raggiungere. In quel no erano racchiuse un fiume di parole, per descriverne la motivazione. La verità più intima era che per compiacere tutte le persone che frequentavo e crearmi una sorta di corte che mi ammirava, ai miei cortigiani non dicevo da anni dei no. Ma tutti nel “mio mondo” si comportavano così; quest'altro binomio di parole magiche ha un motivo sostanziale, nel mio stato d’animo scontento. Quando si parla di nostro mondo, nel linguaggio comune, è il più delle volte un riferimento chiaro al nostro ambiente lavorativo: molti individui si creano “un mondo” per comprendere e controllare un ambiente che come tale è circoscritto; questa modalità ci rassicura, conosciamo le regole, i ruoli gli ambiti, usiamo “il nostro mondo”, diseducandoci a vivere quello vero. Il “nostro mondo” è vissuto in comune con altri individui che anche loro hanno trovato rassicurante aderire a questo modello di società chiusa, dove la prima regola è costruire le basi per diffondere questo messaggio: "il rischio è un disvalore", facendo assimilare ai componenti della Comunità il concetto che la parola 'rischio' e 'azzardo' esprimono contenuti uguali. Perché viene ritenuta importante questa forma di allerta? Il motivo è che chi accetta il rischio e riesce nell'intento di evolvere ed emanciparsi come si è proposto, può essere un’antagonista del leader. Questo pericolo è grave e mette a repentaglio gli equilibri del “nostro mondo”; è prerogativa del capo scegliersi la sua discendenza, perché è il benefit ultimo che gli rimane da elargire. L’obiettivo di questa sua ultima benevolenza è il premio desiderato da tutta la corte per tutti gli anni del suo regno: il vero motivo per il quale detiene il potere sino alla sua abdicazione, sarà sua prerogativa nominare chi gli succede. 
Negli ambienti di lavoro con molte persone il sistema è piramidale: con leader di prima fascia, di seconda, di terza, così via, ognuno di questi moderni feudatari ha la sua corte; tutti insieme partecipano alla vita del regno “il loro mondo”. Questo messaggio di allerta rispetto ai pericoli del rischio lo diffonde il leader al team e ad una cerchia ristretta di sentinelle a lui care, utili ad operare le azioni di controllo sul territorio e sul branco. La politica del Leader, in tutti gli ambienti di lavoro così organizzati, è somministrare rassicurazione e benefit, il controvalore per avere la pace sociale; fino a che l’Azienda, così strutturata dal punto di vista della socialità, non dichiara fallimento. Nessuna Azienda può prosperare e vincere le continue sfide competitive se il team non è spinto a cercare innovazione, se non esiste una sana competizione tra i suoi componenti, ad avere fame tutti i giorni di un traguardo raggiunto, ad affrontare le sfide per il bene comune assumendosi responsabilità, a partecipare al rinnovo dei prodotti o servizi che l’Azienda offre al mercato. 
Ma ritorniamo al “nostro mondo”; in questo ambiente le persone che interagiscono arrivano a codificare un proprio linguaggio comune di cui vanno fieri, lo slang del gruppo. Ho visto molte Aziende così organizzate fallire, e questo non è un male, il male è la difficoltà di integrazione delle manovalanze in altre opportunità occupazionali; ho assistito a casi dove il lavoratore ha dovuto cercare aiuto con un supporto psicologico. Questo modello di gestione ha coinvolto molte industrie, compagnie di servizi, assicurazioni, ospedali, producendo molti danni. Questo è stato il modello organizzativo di molte Imprese Italiane tra gli anni ’70 e ’90; esistono ancora Aziende che resistono con questo sistema, chi negli anni ’80 ha provato il cambiamento con l’inserimento dei Manager, la rivoluzione è stato il più grande disastro economico tra gli anni ’80 e 2000 per il comparto industriale manifatturiero. Per il primo periodo dell’inserimento dei Manager e delle loro dottrine, ho pensato che fossero un branco di arroganti incapaci che rovinavano le imprese che i capitalisti gli avevano affidato. Negli anni mi sono reso conto che, sì, qualche Manager asino c’è stato; la conversione di Aziende che hanno in carico tra i 1000 e 20.000 addetti che per anni hanno vissuto come Comunità così concepita e organizzata, sarebbe stato saggio per gli Azionisti questa scelta: - l’Azienda doveva, se aveva buoni prodotti, salvare quelli, aprendo New. Co. con una gestione manageriale moderna; della vecchia Azienda avrei portato i libri in Tribunale. Ma l’Impresa Italiana con i Capitali provenienti da gruppi Famigliari, ha scelto diversamente identificando la propria Azienda con la propria Famiglia, anche se nessuno alla domanda: "Sacrificheresti la tua famiglia?" lo farebbe. Così è avvenuto, dissanguando e indebitando gli investitori Capitalisti, facendo morire le imprese i loro prodotti il loro bagaglio culturale. Disperdendo un patrimonio di ricchezza nato nella ricostruzione post bellica, un’occasione che ad oggi in Italia non si è più ripresentata. Se volete confutare quello che vi racconto potete fare un’indagine paragonando Italia, Francia, Inghilterra: le ultime due hanno imprese centenarie come normalità, in Italia si contano sulle dita di una mano. Questo ha dato forza e valore ai brand esteri nel polo del lusso, i loro esprimono l’evoluzione ma anche una storia aziendale longeva che avvalora la qualità del prodotto che vendono. Non è un caso che nella top list Mondiale relativa al valore dei brand, il primo posto da tre anni lo detenga “Ferrari”, Azienda con più di cento anni di storia, i marchi a seguire come “Coca Cola” sono tutti esteri e tutti con una vita d’Impresa ultra centenaria. Su questo aspetto vorrei puntualizzare che anche l’economia Americana, con le sue rigide regole del profitto, ha imprese moderne e all’avanguardia; riguardo alla vita media delle Imprese di successo nella Top List mondiale, esse hanno una data di nascita che data sempre i primi del ‘900, un’eccezione la New Economy, che ha comunque Imprese con almeno 30 anni di storia. Questo avvalora il fatto che il profitto maggiore lo persegue chi sa innovare l’esistente, rendendo, a sua volta, un asset di valore la storia dell’Azienda che negli anni ha saputo evolversi. 
Non ho divagato come sembra, e spero di mostrarvelo con il seguito del racconto; ma vi rivelo anche un segreto: ho studiato gli scritti di Adriano Olivetti, ammirandolo per la forza con cui ha spinto l’idea di etica nell’Impresa, ma il suo modello organizzativo l'ho sempre trovato deleterio per l’Impresa; pur avendo a volte cercato di applicare moduli del suo pensiero organizzativo, poiché lo ritenevo eticamente giusto, le volte che mi sono concesso questo lusso ho dovuto poi ripararne il danno che ho provocato con questa scelta. 
A 32 anni ero Azionista di un’Impresa come quella descritta che adottava quel metodo di gestione diciamo “tradizionale”, fatturava 900.000.000 di Euro, producendo e commercializzando giochi elettronici diventati in seguito home games. Quest’Impresa era quotata alla Borsa di Milano nel segmento Star, oggi non esiste più, è fallita. Il mio ruolo era nella Holding di controllo quello di Vice Presidente esecutivo. A 32 anni avevo raggiunto tutti gli obiettivi, possedevo case, macchine, utilizzavo un Aereo privato quando ritenevo che i voli di linea fossero scomodi come orari per i miei continui spostamenti, avevo i servizi di un’assistente personale che mi aiutava nella gestione della mia agenda e spesso anche supplendo le mancanze che arrecavo alla mia vita privata. Frequentavo il “mio mondo” un mondo rassicurante e che mi proteggeva nel quale avevo un mio spazio ed ero stimato. Ora vi racconto la storia vera del perché un giorno di Novembre di 28 anni fa ho rinunciato a tutto questo rassegnando le mie dimissioni: bruciando in quel momento una carriera, divorziando un anno dopo da mia Moglie date le incomprensioni insanabili per questo fatto. Non ho più avuto da quel giorno amici, erano tutti in "quel mondo”, quelli venuti prima li avevo eliminati, non erano compatibili con le nuove frequentazioni e mie scelte di quel momento. Ora ne scelsi uno di mondo, libero, diverso, anche pericoloso, avevo scelto di ricostruirmi lì come individuo; che si dava nuove sfide, voleva evolvere. Ma veniamo al dunque: una sera ero a Riccione con un mio Amico, ( di mestiere veterinario del Comune), una sera di assoluta tristezza. Mi trovavo con Lui in un locale a bere, una serata tra amici, passammo di argomento in argomento sino a che Piero mi pose la domanda: - Luca, cosa c’è che non va ? La mia risposta è durata sino all'ora di chiusura ed alla fine di una bottiglia di Glen Grant. Questo fiume di parole, favorito anche dalla disinibizione dell’alcol, era stata una confessione a cuore aperto, una cosa del tipo: “Signor Giudice mi condanni”. La risposta di Piero arrivò precisa: - ora vieni con me. Mi portò in macchina al Canile Municipale che dirigeva, la scusa era che voleva fare un sopralluogo, proprio quella notte. Mi lamentai un po’ ma lo seguii. Arrivato in prossimità del Canile fermò la macchina e mi disse deciso: - ora andiamo a piedi. Ora, mi suonò strano il suo comportamento ma era mio amico, mi fidavo di Lui sapevo che mi voleva bene, lo segui in silenzio, al buio in quella campagna deserta ai confini di Riccione. Avanzavamo passeggiando verso il canile e iniziarono i primi abbai e ululati; mi fece notare che i cani che abbaiavano erano quelli delle case vicine, nel canile c’era la quiete, nell’organizzazione dei cani, mi disse, ci sono i cani sentinella; avanzavamo e capivo dai luoghi dove provenivano i latrati che le sentinelle erano disposte concentriche al canile. Ci avvicinavamo alla nostra meta e magicamente i cani alle nostre spalle non abbaiavano più, ne abbaiavano dei nuovi, sempre con la stessa modalità concentriche all’obbiettivo che Piero si era proposto quella notte. Finalmente arrivammo in silenzio ai confini del recinto di questi edifici-ricovero per animali, varcammo la soglia di un alto portone grigio, che Piero aprì. Era un inferno di: abbai, latrati, ululati: se avessi potuto sarei scappato via. Gli animali erano chiusi nei ricoveri recintati, ma l’effetto sonoro che producevano era terrificante. Un nuovo comando: - ora aspetta qui. Rimasi solo, lui si avvicinò ai recinti e come d’incanto tornava la quiete, lo persi di vista; ma nel Canile era tornato il silenzio, un silenzio che mi aveva portato in dote lo stupore, un sentimento che da tempo mi aveva abbandonato. Piero tornò con un amico, aveva al guinzaglio un vecchio cane di media taglia dagli occhi bicolore. : - Ti presento il capo, è Tommy. Il cane mi guardava con benevolenza mi venne di accarezzarlo, ma lui mi anticipò leccandomi la mano, ora ti ha riconosciuto, possiamo iniziare la visita agli altri, non corri più pericolo. Piero iniziò il suo racconto, mentre visitavamo i recinti, entrando e conoscendo cani, ad ognuno una sua storia che Piero conosceva a memoria. "Ecco Luca, ora vedi che ci abbaiano solo quando ci avviciniamo e in modo diverso per attrarre l’attenzione, il mondo dei Cani è organizzato così: prima quando siamo arrivati, hanno abbaiato i cani dei vicini legati fuori dalle case; i cani “sentinella” che si sono acquietati, quando ci siamo allontanati . Poi hanno abbaiato i cani “sentinella” del Canile e tutto l’ambiente si è allarmato, mi anno riconosciuto quando sono entrato tra i recinti e l’allerta è cessata riportando il silenzio; hai conosciuto il capo, sei potuto entrare a fare visita agli altri. Questa società è gestita da loro esattamente come l’organizzazione della tua attuale vita, e del tuo attuale “mondo”. Sei mio amico, ti dico solo che non ti invidio, pensavo, vedendoti ogni tanto a Riccione e sapendo cosa stavi facendo, che tu fossi felice, da questa sera Io sono preoccupato per te; nel “mondo” al quale presto le mie cure, Io so come va a finire. Ma poi esco da qui, non ho il mio mondo, ma la mia vita da vivere". 
Ho riflettuto molto, dopo quella sera, poi sono rientrato a Londra due settimane dopo, per rassegnare le mie dimissioni. Da quel giorno guardo i mondi degli altri senza nessuna invidia, non sento nostalgia o rimpianti, la vita dopo non è stata semplice per me, ma ogni tanto ho persone che incontro e mi dicono la frase celebre condita da: - sai, nel “mio mondo”-, provo veramente molta tristezza e compassione per loro. Il giorno dopo le mie dimissioni ho lasciato immediatamente l’incarico, la prima cosa che ho pensato, la prima mattina che mi sono svegliato senza avere nulla da fare, è stato, prima di ripartire ad affrontare un’altra occasione di lavoro, sentimentale, di amicizia: devo trovare e scrivere la mia regola, così ho fatto, scoprendo che nella solitudine iniziavo a conoscermi e riconoscermi; posso dirvi che un periodo di eremitaggio mi è stato molto utile. Ho in seguito avuto altre avventure imprenditoriali. Per questo motivo, nel momento del mio “isolamento”, avevo redatto delle linee guida se un giorno avessi guidato una nuova Azienda; lo spunto me lo ha dato un libro di psicologia, dal quale ho tratto questi spunti; li ho chiamati: “menu per un’Azienda sana”:
1. Il tempo della concentrazione. Ogni persona appartenente al team qualsiasi mansione svolga deve avere questo tempo da dedicare a questa attività, favorisce la neuro plasticità, ossia la modifica del cervello in risposta all'esperienza che è alla base della memoria e dell’apprendimento. Concentrandosi su un processo per volta e riducendo il multitasking si possono migliorare queste funzioni, migliorando il rendimento. Quindi il team leader deve mettere molta attenzione nel conferire incarichi, gli incarichi multipli a un unico individuo vanno calibrati, perché quest’ultimo mantenga un buon equilibrio e qualità di vita, anche e soprattutto quando vive la sua vita privata.
2. Il tempo della progettazione. Questa fase va vissuta come un gioco nel quale l’incaricato a svolgere questo compito lo deve fare con la spontaneità oltre la disponibilità a esplorare il mondo, dedicandosi a esperienze nuove con piacere e un genuino senso di scoperta, senza valutare i risultati con il metro del giusto o sbagliato, questo approccio facilita la propensione alla scoperta dell’innovazione e della propria creatività. Se un progetto nasce sbagliato sulla carta non è un problema si prende un nuovo foglio bianco e si riparte. Il danno all’Azienda di avere buttato un po’ di carta è una perdita accettabile, peggio un fallimento di un’impresa che parte senza progetto.
3. Il tempo della relazione. Questo è un tempo importante nell’Azienda moderna, i rapporti tra individui entrando in relazione tra loro, con gentilezza e generosità, se possibile di persona, favorisce il legame tra le persone; che è alla base del buon funzionamento di un team. La relazione non esclude il rapporto col mondo nel quale viviamo, passando più tempo ad ammirare la natura ci immergiamo nella realtà di essere parte del pianeta e di condividere con una moltitudine di altri esseri umani questa casa chiamata Terra.
4. Il tempo dei bilanci personali. Ogni componente del team deve avere possibilità di questo contatto con la propria interiorità, senza questo contatto, non possono nascere bilanci veritieri e genuini, di conseguenza nemmeno soluzioni efficaci. Il potere della consapevolezza rafforza la regolazione delle emozioni e l’attenzione, aumenta l’empatia e la flessibilità, tutte qualità che arricchiscono l’individuo e quindi l’azienda.
5. Il tempo libero. Fuori dal lavoro è meglio che i componenti del team non si frequentino, l’individuo deve essere libero veramente, un legame con un componente dello stesso staff al di fuori del lavoro è nocivo, non favorisce nella persona lo stacco mentale con l’azienda. Il tempo libero è fatto per dedicarsi alla Famiglia, all’ozio, all’attività fisica; al sonno che è importantissimo perchè favorisce l’integrazione a livello celebrale e il consolidamento di ciò che abbiamo appreso durante il giorno. Il sonno rigenera la nostra energia. Il leader ha l’obbligo non solo di rispettare il tempo libero dei componenti della sua squadra, ha il compito di accertarsi che questo tempo sia vissuto con serenità e soddisfazione.


......cari amici, se siete arrivati a leggere sino a qui, vi auguro una Buona Domenica, ..........alla prossima....... da ELLEBASTA.

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