mercoledì 10 dicembre 2014

Il valore economico del bene intellettuale il diritto d'Autore.

Una riflessione sul diritto d'autore e sulla distribuzione dei contenuti editoriali.
Il tema del diritto d’autore e della democrazia della distribuzione è un tema importante all'alba dell’era digitale.
Caro lettore, la novità annunciata dal «New York Times» un anno fa, con l'introduzione dei contenuti a pagamento su internet, è un passo importante nella ricerca di un nuovo modo di fare reddito con i giornali, cartacei o elettronici che siano. Lo sviluppo della Rete in questi anni non sarebbe stato così impetuoso senza il contributo dell’informazione. Via via un numero crescente di utenti s’è abituato a trovare free sui siti tutti gli aggiornamenti e, talvolta, gli approfondimenti e i commenti di cui ha bisogno. E il successo di un sito come Repubblica.it sarebbe senza precedenti se fosse valutato solo con i parametri del numero dei suoi visitatori o della sua capacità d’influire sull'agenda quotidiana del Paese. Ma un Editore non può prescindere dal bilancio, anche perché quando i conti non tornano è la libertà d’espressione a soffrirne per prima e di più. L’errore degli Editori è stato puntare tutto sugli introiti da pubblicità, quasi che potesse esserci una quota aggiuntiva di investimenti pubblicitari da dedicare a internet e in particolare a chi fornisce notizie online. Non è così: nei budget degli investitori, com'è naturale, la pubblicità è stata dirottata sulla rete dalla stampa, e sui media tradizionali. Niente di preoccupante in momenti di crescita dell’intero sistema web,unitamente a una sventurata congiuntura in tempi di crisi globale. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: dal 2009 i giornali hanno perso oltre un quarto dei propri introiti pubblicitari, solo in parte infinitesima recuperati dai loro servizi su internet. Far pagare le notizie di qualità su internet è parte del mix di misure anticristi che gli Editori stanno definendo. Il «New York Times», i quotidiani della galassia di Rupert Murdoch, quelli di Axel Springer in Germania stanno per mettere in vendita una quota dei propri contenuti informativi digitali. Se si offre un buon prodotto, chiunque capisce che è ragionevole pagarlo, sia che se ne fruisca sul cellulare sia online. Il dibattito sul Sole 24 Ore, discusso in questi giorni in merito a questo argomento, ha centrato questo problema: la Rete non può restare un Far West senza regole o una Somalia in balia dei signori della guerra, dove tutto è gratis e la pirateria non è un reato. E questo nulla ha a che fare con la splendida libertà d’espressione e comunicazione che internet offre e che va difesa, ma non ha a che vedere con il prodotto editoriale professionale. Allo stesso modo Google non può sfruttare i contenuti prodotti da altri senza dare nulla in cambio. È un problema che gli Editori Tedeschi hanno denunciato nei giorni scorsi alle proprie autorità regolatorie, proprio come l’Associazione Italiana della categoria aveva fatto ad agosto 2013 con un esposto all’Antitrust. Google deve restituire una parte del valore immenso creato ogni giorno dai giornalisti, che il motore monetizza grazie alla pubblicità AdSense. Come Google, molti altri soggetti, dagli aggregatori alle rassegne stampa, non rispettano le regole che tutelano i diritti di proprietà intellettuale. Questi diritti devono trovare una definizione legislativa più netta e, soprattutto, ampliarsi. Dobbiamo pertanto rilanciare la protezione del copyright, studiando l’adozione di software e sistemi che consentano un reale controllo dell’uso e del rispetto dei diritti connessi a ciascun contenuto. Nel Regno Unito è operativo un database di ritagli digitali dei giornali cartacei gestito dalla Newspaper Licensing Agency, cui partecipano i maggiori Editori. Chi accede al database e preleva un ritaglio, deve pagare. I guadagni vengono divisi pro quota tra gli Editori. Facciamolo anche noi ! Curiosamente, gli Editori Italiani hanno un altro atout da giocare. Da noi quasi nessun quotidiano mette a disposizione live e gratuitamente sulla Rete il contenuto prodotto per la carta. Gli articoli pubblicati sul giornale sono cioè custoditi per almeno 24 ore in quello che in inglese viene definito un walled garden, accessibile online solo dietro pagamento di un abbonamento. Se prendessimo questa grande massa di informazione, la mettessimo sui nostri siti e la facessimo indicizzare da Google e dagli altri motori, rendendola ricercabile, faremmo un buon servizio all'utenza e, se a pagamento, ci garantiremmo ricavi aggiuntivi. Se lo volesse, Google potrebbe così trasformarsi in un equo distributore della ricchezza creata grazie al lavoro altrui; e avremmo bell'e pronto il sistema di pagamento universale suggerito da John Tierney. Un segnale positivo in questa direzione c’è: qualche anno fa c’è stato un cambiamento epocale nella politica di Larry Page e Sergei Brin, che con il servizio First Click Free hanno accettato il principio che il contenuto dietro un walled garden debba, una volta indicizzato, essere pagato anche se raggiunto direttamente attraverso il motore di ricerca. Fino a quel momento non era così, nel senso che tutto quanto immagazzinato nei server dell’azienda di Mountain View era, per definizione, fruibile gratuitamente online. Bene, se Google accettasse di riscuotere per conto degli Editori i pagamenti legati a determinati contenuti, si potrebbe cominciare a ragionare. Come si ragiona tra Partner, non come i sudditi ricevuti in udienza dal sovrano assoluto della galassia web.
Al di là di Google, c’è ancora molto da riflettere sui sistemi di pagamento. Il New York Times punta su un sistema che è un’evoluzione di quello del Financial Times: “a tassametro”, è stato definito, in quanto ti farebbe pagare solo i contenuti che hai consumato nel corso del mese. Par di capire che Murdoch stia imboccando una strada diversa. Difficile dire quale sarà il vincente. È un po’ come nel mondo, ancora in evoluzione, della carta elettronica, che ora vede prevalere il Kindle di Amazon ma che attende spaventato (o speranzoso: dipende) l’arrivo, annunciato delle novità Apple 2015: finirà come con l’iPhone, che ha sconvolto le logiche del mercato dei cellulari e degli smart phone? In ogni caso, il modello di micropagamenti annunciato dal NYT funzionerà solo se abbinato a qualcosa di molto semplice, come appunto iTunes di Apple. Difficile immaginare che gli utenti facciano acquisti su una piattaforma diversa per ciascun Editore, con l’obbligo di dare ogni volta username, password e dati della carta di credito. Interessante ma tutta da verificare è l’ipotesi operativa di Journalism Online, la start up di Steven Brill e Gordon Crovitz, che vorrebbe associare migliaia di giornali online. Vedremo. Da parte degli Editori sarà necessario un approccio graduale, che veda mettere a pagamento contenuti oggi non disponibili gratuitamente online ma già pronti all'uso e altri realizzati ad hoc, possibilmente esclusivi e di nicchia. Può essere l’occasione per consolidare, in Italia, un approccio di sistema da parte degli Editori. L’esperienza del consorzio Premium Publisher Network per la pubblicità a performance, che vede il Gruppo Espresso collaborare con Corriere della Sera, Gazzetta dello Sport, Stampa, Ansa e tanti altri, è tra le più studiate in Europa. Gli Editori devono superare le antiche rivalità e lavorare insieme, fare appunto sistema. Solo così si contrastano i competi-tor globali. Collaborazione tra Editori, dunque, sistemi di pagamento agili, intese commerciali con motori di ricerca e aggregatori, difesa del copyright: eccoli i tasselli per la valorizzazione dei propri contenuti digitali. È un mix di azioni indispensabile. Ma c’è un ultimo punto che voglio sottolineare, non meno importante dei precedenti: bisogna far sì che gli operatori di rete, le telecom, accettino di condividere con gli Editori una quota dei loro ricavi dovuti all’accesso. Sono quasi 13 milioni le Adsl attive in Italia, mentre gli smart phone realmente naviganti sono intorno agli 8 milioni. Il tasso di crescita di attivazione delle utenze a banda larga nel prossimo quinquennio può essere stimato, pur scontando una tendenziale flessione, in circa il 10% annuo. Ancora più alto il tasso di crescita della diffusione degli smart phone e tablet usati anche per andare sulla Rete. Le telecom hanno sfruttato e sfruttano - esattamente come i motori di ricerca - il traffico creato dai contenuti dall'informazione di qualità. Paradossalmente, più sono i contenuti free, più crescono i guadagni degli operatori, meno crescono quelli degli Editori che li hanno prodotti: i contenuti attraggono utenza, ma i ricavi vanno tutti agli oligopolisti dell’intermediazione. È ora di cambiare registro.
Un personaggio molto attivo nelle proposte e negli aut è l'Ingegner De Benedetti Carlo; si interroga sui sistemi di monetica per fare pagare l’informazione, ragionando di web e supporto digitale, ma non è un suo interesse si diffonda questo sistema distributivo dell’informazione e dell’intrattenimento, l’ Ingeniere gli affari li fa con la carta, il suo, un dico non dico, che legittimamente tiene conto solo del suo interesse anche se ciò va a scapito di tutta la Comunità, dell'informazione. Personalmente sono felice che la rivoluzione digitale non la può fermare, …. anche se questa lobby farà di tutto per rallentarla.
Luca Venturi.

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